Focus: Crusaders
CAGLIARI – Un’annata piena di incognite si è trasformata in una piacevole certezza. Per la grande famiglia dei Crusaders la stagione appena terminata è stata quella del rilancio fai da te, nel senso che grazie al doppio ruolo di alcuni giocatori – dirigenti, la società ha avuto l’ossigeno necessario per guardare avanti con maggiore serenità. Se alla regular season della Senior fosse seguita una parentesi extra, l’entità del bilancio sarebbe stata ancor più florida, ma nel clan cagliaritano ci si sa accontentare.
Di seguito le opinioni e le analisi di diversi addetti ai lavori. A partire dal presidente Emanuele Garzia, e poi del team manager Giuseppe Marongiu e l’intero coaching staff composto dal capo allenatore Giuseppe Fiorito e dai suoi collaboratori Aldo Palmas (Offensive Coordinator), Walter Serra (Coach Offensive Line) e Efisio Melis (Special Team Coordinator). Dicono la loro anche le Crusaders Girls, con le dichiarazioni di Giovanna Medda.
EMANUELE GARZIA: LA 1^ DIVISIONE NON È UN MIRAGGIO
Gli ha visti nascere, crescere e moltiplicarsi. Dopo 24 anni di immani fatiche Emanuele Garzia decise di mettersi da parte. Ma non durò molto. Sostenuto e adulato dagli atleti più irriducibili della franchigia cagliaritana, la sorsa estate ha ripreso il discorso interrotto per circa un anno e mezzo.
«Ci avevo messo una pietra sopra – conferma ‘il President’ – ma i ragazzi vollero che tornassi e con l’aiuto di alcuni di loro abbiamo messo in piedi un sodalizio dove riusciamo a coprire tutte le esigenze societarie con grande spirito collaborativo. Insieme stiamo cercando di superare tante lacune. L’intento è di fare quel salto di qualità che potrebbe anche portarci a giocare il massimo campionato».
Primo impegno dopo il tuo rientro è stata la giovanile..
«C’è un gran lavoro da fare in quel settore. Sei sconfitte su sei gare dicono tutto. L’organico è sempre meno numeroso e ovviamente con una situazione di questo tipo i risultati non possono arrivare. Dobbiamo rafforzare la nostra presenza nelle scuole; più studenti riusciamo a coinvolgere, più possiamo raggiungere quota 24 atleti che sarebbe l’ideale per affrontare serenamente e con più convinzione un campionato giovanile».
In compenso la Senior ha riservato maggiori soddisfazioni…
«Abbiamo avuto concrete possibilità di agguantare i playoff; per pochi punti non siamo riusciti ad andare avanti. Ma anche in questo comparto non mancano le dolenti note. Dobbiamo fare i conti con la scarsa frequentazione agli allenamenti che abbiamo pagato pesantemente sul campo. Mi auguro che in futuro la mentalità dei giocatori a disposizione possa cambiare. Sarebbe bello constatare con i fatti che il Football Americano sia diventato una priorità nella scaletta degli impegni personali dell’atleta e che quindi gli allenatori possano operare con lo stesso numero di atleti durante tutta la stagione».
Cosa si prospetta per la nuova stagione?
«Dobbiamo prepararci al meglio. Tutti indistintamente. Si dovranno onorare i campionati con un organico numeroso e al top della forma acquisito sia in campo, sia in palestra».
Hai un desiderio particolare da realizzare nel 2017?
«Un sogno più che altro. Vorrei che ci venisse finalmente affidato un campo, per questo confido molto nel futuro assessore allo Sport di Cagliari».
La parole d’ordine mi sembra che sia “specializzazione”.
«Abbiamo bisogno di trasformarci in professionisti dello sport, sia come atleti, sia come dirigenti. Ricordo che quando giocavo io le distrazioni erano davvero poche. L’appuntamento in campo per gli allenamenti lo vivevo come un premio. L’essere parte integrante della squadra mi inorgogliva e mi faceva sentire il peso delle responsabilità e dei sacrifici. E poi c’era un’altra importantissima componente: l’amicizia. Quindi se lo spirito di gruppo si fonde con una certa professionalità anche da parte dell’impianto dirigenziale, possiamo tranquillamente definirci una autentica Associazione Sportiva. L’approssimazione deve essere bandita».
GIUSEPPE MARONGIU: «HO A CHE FARE CON BRAVI RAGAZZI»
L’orecchio del team manager è sempre pronto a captare qualsiasi oscillazione nell’umore dello spogliatoio. Da ex giocatore e dirigente pluriennale, Giuseppe Marongiu sa come orientare i suoi padiglioni auricolari ed è immediato nel soffocare qualsiasi tipo di malcontento. In realtà le esigenze globali dei crociati sono fondamentalmente le stesse e non foriere di instabilità. Un atleta che indossa la maglia rosso argento vorrebbe rapportarsi con allenatori capaci e autorevoli; disporre di un buon campo per gli allenamenti, dotato dei servizi minimi per potersi cambiare e lavare. Gli piacerebbe affrontare trasferte sopportabili che non si trasformino in viaggi della speranza; e poi avere il supporto di una società presente che faccia tutto il possibile, nei limiti dei risicati budget che uno sport come il football, in una terra come la Sardegna, si può permettere. Ma ci sono anche le richieste ad personam.
«Dalla compatibilità degli orari, di gioco e di allenamento, con il lavoro e la famiglia per quelli più grandi – esordisce Marongiu – ai problemi di budget, o di andamento scolastico per i più giovani; a tutti cerchiamo di venire incontro, collaborando reciprocamente. Devo dire che sono tutti gran bravi ragazzi; il gruppo per primo tende a non accogliere positivamente chi avanza pretese incompatibili o irrealizzabili per la nostra realtà, o chi non capisce lo spirito che ci anima».
Che atmosfera hai respirato nello spogliatoio della Senior?
«Quest’anno ho avuto veramente ottime sensazioni. I veterani erano chiamati alla prova per dimostrare di poter reggere anche l’impegno quali dirigenti della società, dopo il rinnovo del direttivo della scorsa estate, e devo dire che hanno superato a pieni voti l’esame. Mi hanno supportato e incoraggiato in ogni iniziativa e spesso si sono assunti in prima persona l’onere di dare seguito ai suggerimenti e alle necessità che sono emerse nel corso del campionato».
C’erano anche i giovani su cui vigilare
«Anche se non numerosissimi, si sono da subito ben inseriti, partecipando agli allenamenti, al gruppo e anche alle iniziative extra campo. Sotto il profilo sportivo, c’era interesse e curiosità per l’esordio in un girone nord del quale conoscevamo poco, se non la capacità di quel bacino geografico di produrre squadre ben organizzate e giocatori forti fisicamente e preparati tecnicamente. Previsioni tutte che si sono confermate. Volevamo e speravamo di fare bella figura e, al di là dei risultati, direi che ci siamo sempre riusciti, sia dal punto di vista tecnico sportivo, sia da quello societario organizzativo».
Sei soddisfatto della prestazione globale o si poteva fare di più?
«Mancare i play off per la differenza punti non può che lasciarti l’amaro in bocca. Abbiamo pagato un girone di andata nel quale abbiamo giocato senza conoscere adeguatamente le avversarie. In qualche caso abbiamo giocato senza metterci la consapevolezza e la determinazione necessaria a causa di condizioni ambientali non favorevoli, ma che non possono essere una giustificazione. Alla fine alcuni episodi sfavorevoli si sono rivelati determinanti. Come capita spesso nello sport, più si sale di livello e più i dettagli fanno la differenza. A parte tutto ho visto una squadra in crescita che, senza allenatori americani e senza innesti del mercato, sa ritagliarsi il proprio spazio nel panorama italiano, rispettata da tutti e che per battere devi sempre giocare al tuo meglio».
Come si sta evolvendo il ruolo del team manager negli anni dieci del XXI secolo?
«Sono solo al primo anno, ma rispetto alle mie precedenti esperienze da dirigente mi pare che stiano aumentando gli impegni legati ai rapporti con la federazione e con le altre squadre. Forse perché gli aspetti organizzativi interni sono abbastanza rodati e non assorbono tanto tempo e energie, mentre le esigenze, burocratiche e diplomatiche, della federazione crescono con il crescere del movimento».
Cosa proporrai al direttivo per la prossima stagione?
«Deve continuare la ricerca di sponsor e contributi che ci consentano di chiudere serenamente i bilanci; dobbiamo migliorare e far crescere ulteriormente il progetto scuole per il reclutamento. Soprattutto, dovremo riprendere l’interlocuzione con l’amministrazione cittadina, dopo la pausa elettorale, per l’assegnazione di un campo che possa diventare la nostra casa e ci consenta il salto di qualità che ci meritiamo. Partecipiamo da oltre dieci anni ai campionati italiani di massimo livello, in diverse occasioni vincendo il torneo; dobbiamo dotarci di una struttura adeguata e sono certo che la nuova amministrazione vorrà affrontare definitivamente il discorso».
GIUSEPPE FIORITO: «BASTA METTERCI IL CUORE»
Due distinti sentimenti condizioneranno i ricordi dell’head coach Giuseppe Fiorito sulla stagione appena passata. É lui stesso ad elencarli. «Da una parte la consapevolezza di aver fatto dei passi avanti, di essere cresciuti come squadra e individui. Dall’altro il rammarico di aver mancato i play off di un soffio». Nonostante tutto il personalissimo bilancio del trainer lombardo appare in positivo. E ciò risulta dalle sue seguenti dichiarazioni.
Se devi attribuirti meriti e demeriti cosa metteresti nella lista?
«Il merito di aver sempre creduto in questo gruppo, il demerito di non essere riuscito a motivare i giovani a rimanere, per il bene loro e della squadra».
Fammi qualche nome di giocatori che ti hanno profondamente colpito per impegno e altre qualità.
«In attacco Sam Meloni e Matia Pisu sono un esempio di etica professionale e attaccamento alla maglia rari da trovare. Ringrazio di cuore Andrea Lianas per aver giocato praticamente ogni down del campionato senza battere ciglio. In difesa i veterani, Stefano Murgia, Alessandro Ortu e Gianfranco Farris su tutti, hanno dato prova di grande maturità. Ma una menzione speciale va ad Andrea Antonino che mi ha colpito per lo spirito di sacrificio e per l’attaccamento alla squadra e ai suoi compagni. Ultimi, ma non ultimi vorrei nominare i (pochi) giovani della under 19 che hanno proseguito il loro cammino in senior: il loro miglioramento deve essere da stimolo per tutti i loro compagni, anche perché tra qualche anno dovranno raccogliere uno scomodo testimone e prima si fanno trovare pronti meglio è!».
Scorpions usciti subito e Blue Storms arresisi in semifinale. Che girone era il vostro, semplice o complicato?
«Con tutto il rispetto per la compagine varesina, probabilmente la maggiore conoscenza degli Elephants maturata in questi anni ci avrebbe reso un avversario più ostico; detto questo, credo che il divario nord – sud non sia così evidente come in prima divisione e che la corsa dei Blue Storms si è fermata contro l’arcigna difesa dei Barbari».
Progetti per il futuro?
«Spero che la dirigenza abbia apprezzato il lavoro svolto con le scuole e i risultati conseguiti sul campo: lo ritengo un piccolo grande traguardo ma soprattutto un punto di partenza per un futuro insieme. A partire dal progetto scuole, sono molti gli obbiettivi da porsi: dal migliorare la giovanile a reclutare nuovi adepti per cercare di azzerare quel gap di 8 punti e arrivare ai play off: dopo tanto lavoro questa squadra, questa dirigenza e questa città se lo meritano. Ringrazio tutti coloro che credono in questo progetto mettendoci il cuore, dai dirigenti, ai coach, fino ai giocatori che non hanno mollato mai!».
ALDO PALMAS: SPREAD OFFENS IN ARRIVO
Ha un cruccio né, piccolo, né grande: il mancato passaggio della sua squadra ai quarti di finale. Aldo Palmas lo prenderà come linfa vitale in vista dei prossimi appuntamenti agonistici. Ai quali non si farà trovare impreparato visto che nella sua assortita libreria del football americano spiccano i testi che hanno come oggetto “spread offense”, un sogno da realizzare al più presto.
Una stagione da buttare?
«No. É da considerarsi positiva, ma sinceramente all’inizio dell’anno agonistico, diedi come obiettivo il raggiungimento dei Play Off. Sarà per poco ma non posso ritenermi del tutto soddisfatto, anche perché come si é visto il risultato era alla nostra portata».
C’è qualcosa che avresti voluto vedere in più di quello che effettivamente hanno reso in campo?
«Quella che è mancata è stata un po’ di convinzione e determinazione soprattutto da parte di alcuni giocatori. Infatti la maggior parte dei consigli che coach Tim Tobin mi ha dato (relativamente al gioco dell’attacco) erano volti a creare maggiore confidenza nei ragazzi (e forse anche in noi coach) più che a modificare l’assetto tattico della squadra».
La partita che ti è piaciuta di più della Senior?
«Sicuramente l’ultima. È la base da cui voglio ripartire, sia come tipo di gioco, sia come intensità…».
I Crusaders potrebbero fare la differenza se…
«Se ad ogni allenamento si presentassero sempre in numero adeguato. Magari anche l’arrivo di qualche giovane promettente potrebbe creare un po’ di giusta rivalità tra i ragazzi».
Il mese di permanenza di coach Tobin ti è rimasto nel cuore…
«L’esperienza con lui è stata utile perché oltre a darci una mano nel riprendere alcuni concetti fondamentali della tecnica di base, ci ha orientato verso un nuovo modo di interpretare gli special team. Inoltre, come accennato prima, mi ha “costretto” ad accelerare il programma per passare da un attacco tradizionale ad una spread Offense…».
WALTER SERRA: RICORDI E ANEDDOTI
Il lineman coach dei Crusaders preferisce partire da lontano, esattamente da un tatuaggio delebile consigliato da una donna filippina, di passaggio su uno dei splendidi arenili sardi. Walter Serra annuì, a condizione che a disegnarlo fosse il suo compagno di ombrellone: Paul Frick l’americano che prestò la sua esperienza alla causa crociata.
«Un uomo venuto da lontano – ricorda Serra – si innamorò della nostra terra del popolo sardo e creo il NOI, detto che ci caratterizza più che mai. Paul Frick ha fatto una fugace apparizione anche in primavera, attaccando il casco al chiodo subito dopo la sfida con gli Skorpions Varese. Un’emozione che ha scalfito la grande mole dell’ex ciccione di linea».
Un giudizio sulla stagione appena terminata?
«Rispetto ai passati campionati Lenaf abbiamo fatto notevoli passi avanti, chiudendo la regular season con 4 partite vinte e 4 perse, traguardo mai raggiunto da quando militiamo nel football a 11. Stesso risultato dei bravi “cugini” Skorpions che grazie allo scontro diretto, hanno avuto la possibilità di accedere i playoff».
Che cosa hai imparato?
«Ho imparato tanto, ho imparato che la vita mi rapporta con perdite importanti. In quei casi è inevitabile isolarsi con il proprio cuore e tenersi lontano dalla vita sociale. Ma quando vado al campo trovo la mia seconda famiglia che per due ore mi tiene impegnato e mi permette di non farmi pensare al resto. Grazie!»
Per il prossimo anno da dove vorresti ripartire?
«Dalle basi che coach Tim ci ha insegnato. Non si discostano da quelle che ci hanno impartito gli altri coaches made in USA, ma vi è una differenza sostanziale. L’entusiasmo di coach Tim è stato fatale affinché i ragazzi apprendessero meglio i fondamentali. Perciò ripartirò da come Tim abbia colpito nel segno. Come diceva il mio vecchio coach AlbertoToscano: “passetti, passetti ed ancora passetti».
Pretendere maggior impegno dai ragazzi: lecito o utopia?
«Siamo NOI a decidere cosa vogliamo essere. Da coach devi pretendere impegno, dedizione e costanza. Ogni giocatore deve rendersi conto che il football, come pochi sport, non è facile; richiede tanto impegno per gli allenamenti in campo, abnegazione in palestra e costanza nei tempi “liberi” per il playbook. Nei miei quindici anni da giocatore i miei tempi liberi son stati sempre durante i “consigli di gabinetto”; il tempo se si vuole lo si trova sempre!».
Forse non basta…
«Francamente ai giocatori che son scesi in campo nel 2016 devo dire una semplice cosa: noi coaches possiamo insegnare la tecnica e come migliorare fisicamente per essere dei buoni giocatori. L’unica cosa su cui siamo impotenti è sul come impersonare “gli occhi di una tigre”. Questo per dire che quando si mette piede in campo si dev’essere dominanti».
Vorresti esternare qualche altro pensiero?
«Si, è di qualche anno fa e riguarda la mia concezione del Football Americano. “Il football è bello perché quando metti casco e shoulder non pensi ad altro. Tutti i tuoi problemi li metti in una scatola a bordo campo, e da lì inizi a correre senza molta voglia, inizi a fare pacatamente gli esercizi con il coach che ti urla contro. Poi il tuo nome viene gridato assieme ad altri più o meno conosciuti. Ti sposti in un angolino del campo e inizi a sudare e sputare sangue e fatica perché sai che in quel momento ti alleni per fare quello che gli altri non possono. Poi il tuo reparto viene chiamato: trotterellando con un po’ di fiatone e con qualche dolore ti dirigi verso il centro del campo. E a quel punto devi dimostrare ai tuoi fratelli che tu, in mezzo al campo, sei disposto a dare tutto quello che puoi e che hai per poter urlare il fatidico NOI!».
EFISIO MELIS: ATTENDO FORZE NUOVE E BUONA VOLONTÀ
Ha sgobbato per un anno intero. Fine estate e autunno trascorsi con le forze emergenti, inverno e primavera con i più o meno governabili adulti. Il suo termometro della situazione in casa Crusaders è molto attendibile. Efisio Melis traccia le sue sensazioni e guarda avanti.
Ne è valsa la pena seguire giovani e senior?
«Credo che per migliorare non basti solo studiare. Occorre confrontarsi anche con gli altri in chiave crescita. Ciò premesso posso dire che grazie alla giovanile e alla senior ho avuto una grossa opportunità. Ringrazio i ragazzi dell’under 19 che son venuti in senior e aspetto di poter rivedere Matteo Marceddu e Luca Fadda che a causa dei loro infortuni non han potuto giocare in II divisione».
Che propositi hai per il futuro?
«Il domani è sempre incerto. Con Coach Serra e l’aiuto di Riccardo Pili stiamo seguendo la giovanile nella speranza di formare la nuova under con un numero decente di atleti, necessario per poter disputare un « campionato!».
Per avere un gruppo più forte ci vogliono…?
«Di sicuro forze nuove e buona volontà. Sapersi sacrificare per la squadra ,allenarsi il più possibile e mettersi sempre un obbiettivo. Insomma puntare in alto per migliorarsi sempre di più!».
Auspicio finale?
«Mi auguro che i ragazzi che avremo quest’anno in under passino tutti in prima squadra perché la giovanile serve per formare la senior del futuro».
LE CRUSADERS GIRLS SECONDO GIOVANNA MEDDA
Non passano inosservate. Fanno parte dell’ossatura rosso argentea. Sono le appartenenti alle Crusaders Girls, movimento nato e gestito per regalare reali e subliminali attestazioni d’affetto a chi si prodiga in campo tra feroci botte e folli corse. Si definiscono “l’altra parte della medaglia”. Manifestano amore al femminile grazie ad un nutrito numero di aderenti che sono fidanzate, madri, sorelle, amiche di giocatori, allenatori e dirigenti. Per conoscerle meglio si può rovistare su Instagram, alla voce crusadersgirls. Una delle aderenti più sfegatate è la primaverile Giovanna Medda, partner dell’atleta Gianfranco Farris.
Tante effusioni da dispensare, ma emerge anche il vostro lato critico…
«Ho conosciuto la squadra e tutta la famiglia Crusaders, quando ancora gli allenamenti e le partite si svolgevano nel campo di Terramaini e devo dire che si stava molto più comodi. Non voglio creare polemiche, ma l’attuale campo di Monte Claro non offre molti servizi come punti di ristoro e bagni, e neppure degli spalti o sedie dove poter assistere agli eventi stando un po’ più comodi. Questo vale per le partite di football americano, ma il problema si presenta anche durante le partite di calcio. Speriamo che queste righe vengano lette da qualcuno che entri in merito alla questione. Io lo spero».
Torniamo alla poesia dei Crusaders…
«Questa stagione ci ha molto emozionato, abbiamo dato tutto il supporto possibile. Quest’ultimo è iniziato dagli allenamenti che finivano sempre molto tardi, alle ore passate sotto il sole cocente durante le partite. Siamo tutte molto felici del risultato ottenuto».
È tutto molto bello…
«Noi siamo ormai, una grande e affiatata famiglia, dove ci si conosce tutti. Se là domanda è se ci divertiamo, la risposta è: “come matti!”. Usciamo spesso tutti assieme. Lo scherzo, la capacità di ridere gli uni degli altri ci rappresenta. Grazie per l’opportunità di questa intervista e…go cru go!».
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