COLOGNO MONZESE – Martedì 27 giugno 2017, alle ore 21.30 su Premium Sport verrà trasmesso l’ottavo appuntamento del format “9 – Storie di bomber” in cui il talent di Premium David Trezeguet racconta le tappe più significative della sua strepitosa carriera.
Di seguito le dichiarazioni di David Trezeguet:
Sugli inizi in Argentina, dichiara: «La prima esperienza al Platense è stata negativa, perché quando vai in una squadra devi stare dentro a un ordine calcistico, non è come giocare con gli amici. Devi ascoltare il mister e gli altri, mentre io giocavo per divertirmi. Dopo il primo provino decisi di non andare più, anche un po’ per paura di non riuscire a fare quello che facevo per strada con gli amici. Poi mi è tornata la voglia di tornare, sono entrato nel Platense e a 15 anni sono arrivato in Prima Squadra, esperienza che mi ha aiutato molto, prima di arrivare al Monaco».
Sull’esperienza al Monaco, dichiara: «Prima del Monaco ho fatto un provino al PSG e quella per me è stata una esperienza bellissima. C’erano campi d’allenamento bellissimi, ognuno aveva il suo pallone e non ero abituato a tutto questo. Il primo allenamento al PSG era alle 18 ma io avevo così tanta voglia che mi sono presentato alle 14. Sentivo che qualcuno giocava a basket, era Weah che aveva firmato per il Milan ed era lì per prendere le sue cose. Mi venne incontro, si presentò e mi disse che gli era piaciuto il fatto che io fossi arrivato in anticipo. Poi sono andato al Monaco, dove ho stretto una forte e bellissima amicizia con Henry. Avevamo la stessa età, mi portava agli allenamenti, andavo a casa sua: è stato un grande aiuto per me».
Sulla vittoria nel Mondiale 1998, dichiara: «E’ l’evento dove si ritrovano i giocatori più forti al mondo. La Francia era molto unita ma non eravamo i favoriti. Io ho segnato il mio primo gol in un mondiale nella seconda sfida, contro l’Arabia Saudita. Poi ai quarti contro l’Italia, siamo andati ai rigori. Io non pensavo allo stadio pieno, al fatto che avessi 19 anni, sono andato a tirare ed è andata bene. E’ stato un momento fantastico, abbiamo vinto e i nostri compagni hanno capito che potevano contare anche su noi giovani. La mia carriera è stata un po’ un controsenso perché ho vinto il trofeo più importante a 20 anni e poi non era facile ripartire mentalmente».
Sull’arrivo alla Juventus, dichiara: «Nel 2000 la Juve mi voleva, io conoscevo qualche compagno di Nazionale che ci giocava, come Deschamps e Zidane ai quali chiesi informazioni sulla Juventus e sul modo di ragionare che c’era lì. E appena sono arrivato ho capito subito dove mi trovassi perché la Juve rappresenta qualcosa di molto importante in Italia e nel mondo, per la sua storia, i suoi trofei e i suoi giocatori. Quando sono arrivato c’era Ancelotti, con cui ho sempre avuto un rapporto stretto con Ancelotti anche se non abbiamo lavorato molto tempo insieme. Lui faceva le sue scelte ma non mi sono mai demoralizzato e lavoravo duramente per farmi trovare pronto ogni volta che venivo chiamato in causa, anche perché ero arrivato nel campionato più difficile al mondo e alla Juve bisogna vincere sempre».
Sul primo Scudetto vinto con la Juventus, dichiara: «La stagione 2001-2002 è stata la più bella per me , per diversi motivi. Dopo la partenza di Inzaghi Lippi mi aveva scelto per far coppia con Del Piero. Con Lippi ho avuto un rapporto molto bello, mi ricordo che a inizio anno mi disse che se avessi fatto più di 30 gol avrei dovuto fargli un regalo, se no me l’avrebbe fatto lui: alla fine dell’anno avevo fatto 35 gol complessivi. E’ stata una stagione bellissima, abbiamo vinto lo Scudetto, dopo anni, all’ultima giornata, in quel famoso 5 maggio. In più io sono riuscito a vincere la classifica dei marcatori e per me quella è stata una sensazione unica. Ho vinto altri campionati con la Juve ma il primo è quello che più mi ricordo».
Su Capello, dichiara: «Dopo Lippi arrivò Capello ed è stato molto interessante lavorare con lui che aveva vinto sia in Italia che all’estero. Insieme a Capello arrivarono anche altri grandi giocatori, come Cannavaro, Emerson, poi Ibrahimovic, perché l’obiettivo era quello di vincere la Champions. Capello parlava poco ma riusciva a trasmettere la sua idea chiara che era quella di voler vincere sempre».
Su Calciopoli e la Serie B, dichiara: «Ogni giocatore doveva scegliere il suo destino, doveva scegliere se restare o andare via. E restare voleva dire ritrovarsi a disputare un campionato di Serie B con 16 punti di penalizzazione. In quel momento sentì di dover dare qualcosa alla Juve, alla quale dovevo molto e anche perché avevo un rapporto molto stretto con la società e con i tifosi. Siamo rimasti per dare un aiuto per iniziare una nuova storia. Emotivamente comunque quel campionato è stato bello, ovunque andavamo era una festa e c’erano molti giovani del settore giovanile. Abbiamo vinto il campionato e siamo tornati subito dove deve stare la Juventus, in Serie A».
Sul ritorno in Serie A, dichiara: «Quell’anno con Ranieri, a titolo personale ho festeggiato il centesimo gol in Serie A e sono diventato il miglior marcatore straniero nella storia della Juve: al di là dei titoli questo è l’orgoglio più grande che mi tengo molto stretto».
Sulla Champions, dichiara: «E’ un trofeo che mi manca e forse è quello che ho sofferto di più. Ho avuto una possibilità nel 2003 contro il Milan, quando abbiamo perso ai rigori, uno sbagliato da me. Quando giochi pensi sempre che ci sarà una rivincita, invece purtroppo non c’è stata. Il non aver vinto la Champions è l’unico rammarico che ho della mia carriera».
Sul rigore sbagliato nella finale del Mondiale del 2006, dichiara: «E’ stato diverso rispetto a quello del 2003 in Champions perché in quel momento non giocavo. Ho voluto prendermi questa responsabilità anche pensando a quello che era successo al Mondiale del 1998. Ho deciso di tirarlo spendo che c’era Buffon che mi conosceva e per sfortuna mia non è andata bene. Ma non l’ho mai vissuta in maniera negativa ma in modo molto professionale: penso che sia comunque importante prendersi delle responsabilità e io me le sono sempre prese fin da giovane. Perdere fa parte dello sport anche se non ho mai avuto tempo di soffermarmi sulle sconfitte».
Sull’emozione nel giocare ai massimi livelli, dichiara: «Quando entri in uno stadio trovi il bello di questo sport. Vedi la gente che tifa la sua squadra e ama i suoi idoli. Per quello che mi riguarda, da attaccante, penso che segnare e vedere la gente festeggiare quello che hai fatto penso che sia la cosa più straordinaria che possa capitare. Soprattutto a chi viene chiamato bomber». (dichiarazione pervenuta da direzione comunicazione e immagine Mediaset)
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